(o
Scotto). Filosofo scozzese. Scienziato e astrologo, studiò a
Oxford e nel continente; nel 1217, a Toledo, tradusse dall'arabo il
De
animalibus di Aristotele (titolo complessivo comprendente la
Historia
animalium, il
De partibus animalium e il
De genere animalium)
il
De coelo et mundo, il
De anima e forse la
Physica e la
Metaphysica, tutte nella versione dal greco fatta da Averroè, e in
tal modo diede un contributo fondamentale alla conoscenza, nell'Occidente
latino, tanto di Aristotele, quanto dell'interpretazione averroistica del suo
pensiero. Nel 1220 si trasferì in Italia, dapprima alla curia papale,
ottenendo benefici ecclesiastici da Onorio III e Gregorio IX, poi alla corte di
Federico II; qui venne nominato astrologo di corte e nel 1230 tradusse il
De
animalibus di Avicenna, che dedicò al sovrano. È autore di una
grande opera astrologica in tre parti (
Liber introductorius, Liber de
particularibus e
Physionomia), che dedicò a Federico, e delle
Quaestiones Nicolai peripatetici, che non ci sono state tramandate. Dante
nella
Divina Commedia colloca questo filosofo nella bolgia degli indovini
(
Inferno, XX, 116-117), per i suoi interessi, rivolti alla scienza araba,
all'astrologia e alla magia naturale (1175 circa - 1236 circa).